ArtShapes – The Wall Project #Groupshow, la mostra collettiva sui giovani talenti italiani alla galleria ArtNoble di Milano
Di Arianna Grossi
Una grande mostra collettiva riunisce le opere inedite di dieci artisti italiani, attivi sulla scena internazionale, nella nuova ArtNoble gallery di Milano, The Wall Project. Alessia Romano e Federico Montagna, curatori dell’evento, hanno scelto uno spazio intimo e allo stesso tempo impattante, che potesse ospitare con assoluta coerenza i lavori di queste personalità così distinte, definite e diverse tra loro.
Il percorso espositivo si anima di visioni astratte, immagini concettuali, per finire nel recupero dell’arte figurativa. Un flusso senza soluzione di continuità avvolge con estrema naturalezza lo spettatore, nonostante la varietà e la particolarità di ogni opera presentata.
The Wall Project è un’idea che nasce nel 2018 e si articola attraverso nove appuntamenti di collezioni personali dei migliori talenti emergenti dell’arte contemporanea. Dopo un anno di pausa dovuto all’emergenza sanitaria, il progetto si conclude con una collettiva dove si presenta un’opera mai divulgata di ogni artista precedentemente coinvolto, e, in aggiunta, la tela di una giovane promessa mai esposta prima a Milano, Maddalena Tesser.
Manuel Fois, Alina Vergnano, Alan Borguet, Andrea Carpita, Marco Bongiorni, Cosimo Casoni, Stefano Perrone, Ludovica Anversa e Jimmy Milani, sono i nomi che raccontano la propria evoluzione artistica sul “muro” di questa mostra.
La promenade in galleria inizia con una serigrafia su tela di Manuel Fois, classe 1995, dal titolo AUD_33ESP1S del 2019. Il lavoro di Fois, un lavoro basato su una forte componente concettuale, esvidenzia il rapporto tra diversi tipi di linguaggi, quello dello spazio sonoro e della registrazione in relazione alla rappresentazione visiva, ed esplora il nesso tra immagine virtuale e reale, fisica.
L’artista infatti procede nella sua elaborazione con una selezione di tracce audio ricavate da lunghissime registrazioni; queste poi vengono convertite in spettri grafici, a loro volta riprodotti manualmente o con procedimento serigrafico da Fois. L’autore riflette quindi sul concetto di trasposizione di un messaggio da un linguaggio ad un altro, attraverso diversi processi di traduzione della realtà quotidiana, alimentando uno scambio continuo e un’oscillazione ambigua ma calibrata tra finzione e realtà, simulazione e verità.
Daytime Dilemma è la tela di Alina Vergnano che prosegue il percorso, dove la ragazza dà vita a ricordi, emozioni con una pittura astratta animata da segni che richiamano la memoria familiare e soprattutto la forma femminile. La morbidezza del tratto e la scelta del colore, caldo e brillante ad un tempo, rendono il quadro un luogo di intimità che apre le porte ad un “tu per tu” con la propria sensibilità e con le sensazioni più pure.
Un altro lavoro che si pone in bilico tra astrazione e figurazione è Uomo che piange del 2021, appartenente ad una serie di Marco Bongiorni. L’autore realizza un ciclo in cui rappresenta la sofferenza dell’uomo, in questo caso con pastelli ed olio su un telo cerato. Il tormento del soggetto emerge dalla scelta di colori contrastanti tra loro, dal segno violento e incontrollato, dal disegno stilizzato ed infantile.
La scelta del supporto, inoltre, assume un valore specifico nella poetica di Bongiorni, che considera un quadro, un’opera, non solo come immagine ma anche come oggetto in costante tensione verso ciò che avviene al di fuori di esso.
Ancora, verso la fine della mostra si trova il dittico Se mi parli degli angeli (III): Ludovica Anversa, giovanissima pittrice milanese, scende nella profondità della raffigurazione dell’organico (i due protagonisti sembrano essere infatti degli insetti) ma attribuendo ad esso un legame con lo spirituale (si veda il titolo).
Il viola soffuso avvolge le forme ambigue, che richiamano alla memoria i lavori di Fautrier, le trasparenze e le diverse stratificazioni rendono allo spettatore un’immagine radiografica ma allo stesso tempo estremamente nitida nei dettagli. L’atmosfera sospesa riesce a sfuggire ad una narrazione esplicita, provoca sollievo e inquietudine contemporaneamente.
Durante il percorso ci si imbatte in due opere figurative, visivamente molto impattanti: davanti ai lavori di Stefano Perrone e di Jimmy Milani il visitatore si trova a confrontarsi con la nitidezza grafica dell’immagine digitalizzata, del cartellone pubblicitario. Lo scopo consiste nel colpire l’occhio, sia con le grandi dimensioni della tela, sia attraverso colori e forme incredibilmente determinate.
Le gomme di Perrone, disposte come una natura morta contemporanea, ospitano delle componenti vettoriali che definiscono lo spazio e la direzionalità e rappresentano la firma dell’autore; nella visione notturna di Milani, l’artista cerca di portare lo sguardo oltre la visione fotografica, oltre la cornice, verso lo spazio ed uno spazio onirico.
Questi lavori entrano in profondo contrasto dialettico con quelli presentati da Alan Borguet e Cosimo Casoni, entrambi con un background artistico legato a graffiti e streetart. Nel caso di Borguet, l’artista plasma, da autodidatta, il proprio linguaggio avvicinandosi alla pittura e ai maestri dell’arte segnica italiana. Lavora i materiali (solitamente marmo, legno, sabbia e l’oro) con le mani, per sentirne le vibrazioni e l’essenza; l’autore osserva la materia per utilizzarne tutte le possibilità nel percorso creativo, e dalla materia estrae la forma in continuo divenire.
L’opera inedita presentata alla galleria è realizzata attraverso strati di colla e sabbia, realizzati esclusivamente a mano, e ricoperti di acrilico e lucido. Borguet concepisce una sorta di alfabeto criptico che mostra le tracce dell’arte di strada.
Il lavoro di Casoni, Dirty Dancing, è completamente animato dalla strada: i protagonisti sono segni di skateboard, bitume, sporco, vernice spray, toppe, il tutto assemblato con apparente casualità. L’artista in verità fa da direttore d’orchestra orchestrando accidentalità e calcolato; ciò si nota nel posizionamento pensato e calibrato di un pezzo di una seconda tela sulla tela principale. Questo dato, profondamente pensato, crea una fortissima tensione e conflitto con la casualità dello skate painting.
L’arte contemporanea non è esente dal fascino della figurazione. Nonostante la tendenza all’astrazione o alla digitalizzazione, tra gli artisti emergenti i nomi di Andrea Carpita e di Maddalena Tesser riportano a galla il mondo figurativo. Il primo concentra la propria ricerca su istantanee isolate o in sequenza di vita quotidiana. I due quadri presentati all’ArtNoble gallery propongono una sequenza di taglio fotografico dove emerge la forza e la versalità del segno, del disegno e della forma.
L’artista predilige formati di piccole dimensioni che risultano maggiormente adatti alla rappresentazione di una scena intima, come il gesto di versare il caffè. L’ambiguità nella sua poetica si manifesta nell’anonimato dei soggetti (il volto della ragazza è infatti tagliato) e nel gioco che si crea tra bidimensionalità e sporadiche ombre.
Ma è La Grotta azzurra di Maddalena Tesser, nata a Vittorio Veneto nel 1992, a catapultare lo spettatore fuori dal tempo, nel pieno realismo magico del primo Novecento, nel post cubismo o nel ritorno all’ordine di Derain. Il notturno ad olio della giovane pittrice (immagine in copertina) lascia spazio ad una pennellata eccezionale, carica di sensibilità introspettiva e analitica. I colori della grotta, che rispecchia l’interno di una stanza in cui sono sdraiate le due figure femminili, donano un’aurea onirica al dipinto.
I dettagli della rappresentazione sono estremamente definiti, dal granchio alle dita dei piedi della ragazza in primo piano. Lo sguardo intenso di quest’ultima, rivolto verso l’interno della grotta e non verso il paesaggio marino che si apre sullo sfondo, crea un alone di inquietudine e mistero che si propaga oltre la tela.
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